Cheratocono

Terapie

Correzione cheratocono

Normalmente la correzione ottica del cheratocono può essere eseguita con occhiali negli stadi molto iniziali. Negli stadi più avanzati gli occhiali, a causa delle forti distorsioni, non possono garantire un risultato soddisfacente. In questi casi l’unica soluzione è l’uso di lenti a contatto rigide o semirigide. Spesso si osserva un’incredibile tolleranza delle LAC in pazienti con un cheratocono gravemente sfiancato e che per varie ragioni non intendono sottoporsi a trapianto. Si ricorre all’intervento chirurgico quando si manifestano i sintomi legati ad una forte intolleranza all’uso delle lenti a contatto o quando la cornea perde la trasparenza all’apice, sia a causa dello sfiancamento estremo, sia a causa delle reazioni da sfregamento meccanico della lente sulla limitata area dell’apice del cono.

Lenti a contatto

Chirurghia Cheratocono

E’ una tecnica chirurgica non invasiva che punta a rafforzare i legami nello stroma della cornea, il tessuto interessato dalle alterazioni patologiche provocate dal cheratocono. Sperimentata in Germania negli anni ’90, si è diffusa prima in Europa poi a livello mondiale con risultati universalmente definiti molto soddisfacenti. L’indicazione principale è il cheratocono in stadio iniziale in soggetti giovani, anche se negli ultimi tempi si è esteso il trattamento anche a pazienti fino ai 40 anni. Questa tecnica utilizza le proprietà della vitamina B2 (riboflavina), accelerata dalla fotoattivazione, per fortificare i legami tra le fibre di collagene presenti nel tessuto corneale, rallentando lo sfiancamento causato dal cheratocono. Tali legami conferiscono alla cornea una maggior resistenza del tessuto, con conseguente rallentamento o arresto del cedimento degli strati corneali, che è la principale causa del cheratocono. L’ intervento ha una durata compresa tra i 30 e i 40 minuti.

L’opportunità di effettuare tale trattamento viene valutata tramite l’ esecuzione di esami specifici, quali la pachimetria (misura dello spessore corneale) e la tomografia. È indicata la sospensione delle lenti a contatto per almeno due giorni. Al paziente viene instillato un collirio miotico, allo scopo di restringere al massimo il forame pupillare, in modo da ridurre l’abbagliamento e la quantità di luce indesiderata che può raggiungere la retina nella parte posteriore dell’occhio. Successivamente viene instillata riboflavina alternata ad anestetico topico per 30’. Segue l’irraggiamento mediante raggi UV con un apposito dispositivo, in modo da consentire la creazione dei legami biochimici (linking) attraverso (cross) gli strati della struttura corneale. La durata dell’irraggiamento varia a seconda delle procedure (10-30 minuti).

Al termine del trattamento si esegue un lavaggio decongestionante ed antisettico. La pratica si conclude con l’applicazione di una lente a contatto terapeutica che verrà rimossa in tempi brevi a seconda delle procedure. Durante tutto il trattamento l’occhio non trattato viene bendato. Attualmente si sta diffondendo la metodica definita “cross-linking transepiteliale”, che permette la penetrazione della riboflavina lasciando intatta la superficie corneale (epitelio), mentre la tecnica originale prevede ne l’asportazione. I tempi della procedura sono più veloci e, soprattutto, diminuiscono i fastidi del periodo postoperatorio (bruciore e forte annebbiamento visivo) con un’efficacia, in base ai più recenti studi, comparabile alla tecnica originaria. Nella maggior parte dei casi, in seguito al trattamento, la curvatura corneale rimane stabile. In alcuni casi si osserva un miglioramento della curvatura della cornea: ciò permette di ritentare un’applicazione di lente a contatto o di ottenere un’accettabile correzione anche con occhiali.

ICR (Intra Corneal Rings)
Gli ICR sono elementi rigidi in materiale sintetico trasparente a forma di semianello che vengono posizionati all’interno nello spessore della cornea in posizione medio-periferica (preservando così la zona ottica centrale) al fine di modificare la curvatura anteriore tramite un’azione meccanica. Posizionando alla periferia corneale questi dispositivi, si ottiene una regolarizzazione e un appiattimento dell’area ottica centrale con conseguente miglioramento dell’acuità visiva, anche se in alcuni soggetti si possono manifestare fotofobia (fastidio alla luce) e disturbi vari. L’intervento ha caratteristiche di reversibilità. Gli anellini possono essere rimossi in qualsiasi momento e si può procedere eventualmente a trapianto di cornea o più semplicemente ritornare all’uso di lenti a contatto.

La DALK consiste nella sostituzione della sola parte anteriore della cornea, conservando il sottile e importantissimo strato profondo, l’endotelio, se è sano e in buone condizioni, e la sua membrana di sostegno, la Descemet.

È indicato in:

1) CHERATOCONO

2) CICATRICI CORNEALI NON A TUTTO SPESSORE

E’ un intervento chirurgico di scelta in tutti i casi di cheratocono o di altre patologie nelle quali l’endotelio sia in buone condizioni. La cheratoplastica lamellare anteriore consiste nella sostituzione delle lamelle malate presenti negli strati anteriori della cornea (90 % dello spessore) lasciando integri i sottili strati posteriori costituiti dall’endotelio e dalla membrana che lo sostiene. Si tratta in sostanza di effettuare un vero e proprio intarsio, con inserimento del tessuto corneale del donatore nello spazio risultante dalla rimozione del tessuto malato del ricevente. Questo è un grande vantaggio dal punto di vista fisiologico in quanto riduce moltissimo la possibilità di rigetto. È una tecnica di notevole difficoltà, che richiede molta esperienza da parte del chirurgo. La procedura migliore per separare gli strati profondi (da conservare) da quelli superficiali (malati, da eliminare) è quella della big bubble, che consiste nell’iniezione forzata di aria nello spessore della cornea in modo da creare un clivaggio. Negli ultimi anni è stato introdotto un laser ad altissima tecnologia (femtolaser) che in molti casi può essere di grande aiuto nella delimitazione della lamella da asportare. In caso di perforazione, evento che può verificarsi per l’estrema sottigliezza della membrana residua (circa 10 micron), è sempre possibile modificare l’intervento ed eseguire un trapianto perforante tradizionale.

Il vantaggio del trapianto lamellare è il minor rischio di rigetto. Il recupero funzionale, invece, richiede più tempo, poiché con questa procedura si viene a creare una interfaccia fra il tessuto del ricevente e quello del donatore. Ciò va spiegato bene al paziente prima di procedere all’intervento poiché può inizialmente essere deluso dal risultato visivo. Occorre far capire i grandi vantaggi di questa procedura e il minor rischio di rigetto negli anni.

È un trapianto interessante soltanto il sottile strato posteriore (endotelio + la Descemet, cioè la membrana che lo sostiene). L’obiettivo è esattamente opposto a quello dell’intervento precedente: ci troviamo di fronte a una membrana endoteliale malata ma con uno stroma in buone condizioni e con ottime possibilità di recuperare la trasparenza. Esistono due principali tipi di trapianto lamellare posteriore:

  1. DSAEK ( Descemet’s Stripping Automated Endotelial Keratoplasty). In questo caso lo strato di endotelio più la membrana di sostegno (Descemet), supportata da un sottilissimo strato di stroma, arriva in sala operatoria già preparato dalla banca delle cornee.

  2. DMEK ( Descemet’s Membrane Endothelial Keratoplasty), ancora in fase di studio delle procedure chirurgiche e non ancora diffuso in tutti i centri di trapianto. L’obiettivo è quello di staccare esclusivamente l’endotelio e la membrana di sostegno (Descemet) mediante iniezione di aria o acqua nella cornea del donatore. Spesso la procedura risulta ancora troppo traumatica, anche se sicuramente in futuro si metteranno a punto metodiche più ripetibili.

Le principali indicazioni sono:

  • Distrofia di Fuch’s: condizione di rarefazione su base genetica delle cellule endoteliali che porta ad imbibizione dello stroma (edema) ed alla perdita di trasparenza.

  • Edema Corneale post intervento di cataratta: situazione in cui le cellule endoteliali si riducono in numero in seguito al trauma chirurgico, specie se l’intervento è stato difficoltoso o la cornea presenta già prima dell’intervento un endotelio sofferente o malato.

Come abbiamo visto prima, l’endotelio ha la funzione di mantenere il tessuto corneale in condizioni di disidratazione (paragonabile ad una spugna compressa). Dopo aver sostituito lo strato endoteliale malato con quello di un donatore sano, si osserverà nel giro di pochissimi giorni (a volte anche di poche ore), uno stupefacente ripristino della trasparenza e un ottimo recupero visivo. La tecnica per la DSAEK è relativamente più semplice rispetto al trapianto lamellare anteriore o al trapianto perforante che vedremo dopo. Tuttavia richiede una grande manualità chirurgica poiché il risultato dell’intervento dipende in buona parte dalla delicatezza con cui viene trattato il sottilissimo disco di tessuto da introdurre sulla faccia posteriore della cornea del ricevente. Per ragioni ancora non del tutto chiarite, il sottile strato di cornea del donatore “si attacca” senza punti alla faccia posteriore della cornea del ricevente semplicemente introducendo alla fine dell’intervento un po’ di aria, che ha la funzione di spingere il tessuto del donatore contro quello del ricevente. La procedura chirurgica richiede soltanto tre piccole incisioni che vengono suturate alla fine dell’operazione. L’astigmatismo indotto è di solito lieve.

La cheratoplastica perforante consiste nella sostituzione della cornea in tutto il suo spessore nei 7-8 mm centrali. Raramente vengono effettuati trapianti di diametro maggiore. È indicato nei casi in cui la cornea presenta una compromissione globale di tutti gli strati.

Indicazioni principali:

  1. Esiti permanenti di infezioni, a volte risalenti all’età infantile. Occorre precisare che quando si verificano processi infettivi gravi e prolungati a livello della cornea che, come abbiamo visto, è una membrana biologica delicata e trasparente, spesso la guarigione porta comunque ad aree non trasparenti (leucomi). Se questi sono profondi ed interessano tutti gli strati è necessario il trapianto perforante;

  2. Esiti di traumi o gravi causticazioni. Le condizioni sono analoghe a quelle descritte nel punto 1. Talora, specie in caso di causticazioni, può essere necessario procedere prima alla ricostruzione della superficie della congiuntiva e del limbus (il confine periferico della cornea), poiché il trapianto manterrà la sua vitalità e trasparenza soltanto se questa importante area è funzionale;

  3. Alterazioni congenite con interessamento totale della cornea;

  4. Gravi edemi corneali di lunga durata con compromissione definitiva anche dello stroma;

  5. Casi di cheratocono avanzato, nei quali la procedura di trapianto lamellare (DSAEK) non riesce, a causa di una lacerazione estesa della membrana endotelio – Descemet. In questi casi è possibile passare direttamente nella stessa seduta dal trapianto lamellare al trapianto perforante.

  6. Tutti i tipi di trapianto di cornea, specialmente il trapianto perforante (PK) necessitano di un attento monitoraggio per tutta la vita, con controlli frequenti nei primi tempi. Successivamente le visite potranno essere diradate, ma sarà sempre consigliabile almeno un controllo ogni anno. Nonostante si tratti di un innesto di tessuto avascolare, quindi privilegiato dal punto di vista immunologico e con probabilità di rigetto nettamente inferiori rispetto ad altri tessuti ed organi, è bene somministrare al paziente un collirio al cortisone in terapia continuativa, privilegiando farmaci con scarsa tendenza a dare aumento della pressione oculare. La frequenza della somministrazione va, a seconda dei casi, da instillazioni quotidiane a trattamenti più leggeri, come ad esempio 2-3 volte alla settimana.

È una procedura ancora non del tutto accettata. In alcuni casi il cross linking può essere abbinato alla tecnica PRK. La PRK (Cheratectomia Fotorefrattiva), grazie all’utilizzo di un laser ad eccimeri, una volta rimosso lo strato superficiale, permette di modificare la superficie corneale al fine di correggere difetti di vista di tipo miopico, ipermetropico ed astigmatico, se non troppo elevati. Tale protocollo combinato permette quindi di arrestare l’evoluzione della patologia cheratocono (rafforzando i legami all’interno dello stroma corneale) migliorando al contempo la capacità visiva.

Diagnosi cheratocono

Il cheratocono è una distrofia corneale progressiva che modifica la forma della cornea la quale, perdendo la sua funzione elastica di contenimento, non sarà più in grado di contrastare la pressione oculare e si allungherà in avanti assumendo le caratteristiche di un cono. Questa deformazione, col passare del tempo, provocherà di conseguenza un assottigliamento della cornea a livello dell’apice del cono.

Topografo - Pachimetro Sirius

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